LA SFIGA È CATTIVA CONSIGLIERA
L´uomo autentico dello scrittore americano Don Robertson arriva(va) in Italia con due grossi endorsement, quello di Stephen King che lo ha eletto "suo scrittore preferito di tutti i tempi" (e lo ha pubblicato per la propria Philtrum press, dopo che l´autore era stato sostanzialmente dimenticato in patria) e quella del traduttore Nicola Manuppelli, vero e proprio "promoter" di scrittori americani, specie se non conosciutissimi, dimenticati o insomma da riscoprire.
In effetti questo è un libro che non delude e non soffre tali ingombranti premesse, al netto di una "sbavatura" che però è maggiormente addebitabile all´editore e di cui parlo in nota* per chi non teme gli spoiler.
Libro e scrittura tipicamente americani: la storia qualunque e allo stesso tempo tragica di Herman Marshall è raccontata con vigore, la giusta dose di speakeasy, e tutto quel background di autostrade, grattacieli, rapporto con la natura, battute di caccia, banconi e locali in cui bere birra ghiacciata e fare small-talking con gente semplice, cose non nuove ma che ai bravi scrittori americani - e Robertson lo è - riesce benissimo di raccontare e a volte di rinfrescare, di riproporre in una forma in qualche modo nuova, non risaputa.
La malattia di Herman Marshall è la sfiga, la sfortuna, quella differenza che, come dicevo sopra, ha portato una vita qualunque a essere "allo stesso tempo tragica". Il libro inizia con il protagonista al capezzale della moglie malata, Edna, e da qui mescola azione, affidata perlopiù a flashback, e le riflessioni sempre meno lucide di Marshall sulla giustizia, e il significato della vita, e su che conclusioni trarre quando tutto è perduto, che tipo di aiuto chiedere, o darsi.
Verso il finale, il "mattatore" Marshall viene affiancato da un personaggio diversissimo ma "drammaturgicamente" dello stesso peso, il grasso e rassegnato nipote Eugene Coffee, co-protagonista indiscusso dell´ultimo centinaio di pagine e anche lui programmaticamente "fallito", specie nella sua percezione, una sorta di contraltare debole alla vitalitá nonostante tutto non rassegnata, e anzi incazzata, in qualche modo scalciante di Herman.
Nella scrittura vivida, rapida, scorrevole, nel disegno azzeccato dei personaggi, nel non fare sconti alla realtà e ai corpi (soprattutto anziani, quindi decadenti, eppure alla ricerca degli ultimi sprazzi di quella vitalitá che provavo a definire sopra) credo vi siano i motivi che hanno appassionato King, che firma anche una introduzione affettuosa ma un po´confusa.
Decisamente un buon libro, di quelli che sarebbe utile studiare e ri-studiare nei corsi di scrittura creativa, per imparare ad andare dritti al punto, evitare sbrodolamenti e comunque portare a termine un romanzo-romanzo di 300 pagine circa.
Se poi sia un classico destinato a rimanere nel tempo, come King pare assolutamente pensare (o comunque penserebbe giusto e logico), dirà forse la lettura di altre sue opere come L´ultima stagione (già in libreria) e il monumentale Paradise Falls di cui facevo un breve cenno nel mio "pezzo" sullo show di Manuppelli al Salone di Torino 2018.
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Don Robertson - L´uomo autentico
Traduzione di Nicola Manuppelli
Ed. Nutrimenti
298 pg.
Attualmente in commercio
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Attualmente in commercio
*Spiegazione e spoiler: il libro ha un climax finale secondo me ben preparato dallo scrittore ma che viene troppo preannunciato dalla pistola presentata in copertina e dalla quarta, dove si parla, molto impropriamente, di thriller. Paradossalmente questo rischia di spiazzare quel lettore che si aspetterebbe appunto un´opera di genere e che si trova di fronte a un romanzo-romanzo di anti-formazione, direi, e anticipa troppo a quello "senza aspettative" che vorrebbe vedersi trascinato dal puro gusto della scrittura verso il finale tragico, senza già trovarselo di fatto rivelato e quindi vivendo in maniera meno emozionale il passaggio, costruito molto bene, tra le due sezioni.
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