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LIBRI E RECENSIONI. GIORGIO VASTA - ABSOLUTELY NOTHING

APPARENTE STATICITÀ 


Absolutely Nothing


Ci sono libri che subito richiamano la tua attenzione, e questo è stato il caso di Absolutely Nothing di Giorgio Vasta.

Una spedizione nei deserti americani, in spazi abbandonati, relitti industriali, città fantasma, set cinematografici, ex-villaggi turistici usciti dalle rotte per sola interferenza di fenomeni naturali, che Vasta intraprende insieme al fotografo americano di origine iraniana Ramak Fazel e a Giovanna Silva, anche lei fotografa e di fatto editrice di questo libro nato da una joint-venture tra Humboldt e Quodlibet. Fascino a mille, infinita suggestione.

Il libro mantiene la maggior parte delle promesse, va detto: l´apparato fotografico in bianco e nero, nelle prime e narrative 250 pagine (in appendice stanno le foto a colori scattate da Ramak) sono reticenti, in tono con la narrazione, che si apre con una dichiarazione di mancanza, di assenza di Vasta, che - passata quasi inosservata - è destinata a svelarsi verso il finale.
Credo che scambiare questo testo con un reportage narrativo sui luoghi emblematici di un certo tipo di america possa far male sia al testo stesso che al lettore, in quel caso meglio riprendersi Apocalypse Town (bellissimo) di Alessandro Coppola.

Questo volume è invece pervaso dall´arbitrarietà della narrativa (se non del romanzesco) e  dalla particolarissima e statica visione di Vasta, il suo spiccato senso per l´elucubrazione, la riflessione analitica, su spazi, assenze, onirico, visione, ordine-disordine e mi pare giusto così, è lui e a narrare e prendersi la responsabilità. In un on the road chiaramente questo tipo di scrittura rischia di togliere dinamicità all´insieme:  Vasta sembra voler analizzare ogni granellino di deserto, ogni refolo di vento, ogni ombra o falso movimento o architettura.

Ma proprio nella maniera in cui si cerca di disinnescare questo pericolo trovo un aspetto di  maestria narrativa: in effetti lo scrittore si auto-attribuisce il ruolo dell´osservatore a volte statico, a volte in soggezione, altre volte sinceramente contorto, ma abilmente crea due contrappesi (narrativi, sulla realtà non so, non so se ci sia realtà, ci sono i sogni, e un dialogo con un cane) in Ramak e Silva. Ramak fa il ruolo che in Hollywood Party era demandato a Sellers: un deus ex machina spontaneo, movimentista, azionista ma (a differenza del personaggio di Sellers) per niente ingenuo, Silva fa da pianificatrice e antagonista, riassumendo in maniera semplificata, se ci fosse solo Vasta non ci sarebbe alcun viaggio, se ci fosse solo Ramak si girerebbe in tondo tra laghi essiccati, deserti, confini, rischiando di grimare il motore dell´auto e farsi arrestare da poliziotti disincantati, se fosse per Silva si rispetterebbe alla lettera un programma pre-pianificato. Questo, e gli spunti da fantasista di Ramak, e i dialoghi super-intelligenti-riflessivi tra Vasta e Silva (a volte uno direbbe "dai, bevetevi una birra parlando di Masterchef!") è il metodo con cui mi pare venga portata avanti la narrazione, un metodo penso ironico, autoammiccante ma anche simpaticamente rivolto a un lettore che magari irritato da certi eccessi di approfondimento o granularità o estrema microscopizzazione della narrazione tenderebbe a stranirsi e invece si vede alla fine avvolto e avvinto da un gioco, da un meccanismo, non sempre avvincente ma di sicuro coerente e ben studiato.

Alla fine, accettata la premessa, accettato il peculiare atteggiamento di Vasta, uno (scrittore) che prende la realtà e la seziona e la separa nei propri elementi fondamentali e secondari, e con gli stessi utilizza il medesimo metodo, si tratta di un libro forse disuguale in alcune riuscite, a volte statico, a volte decisamente affascinante, e consigliato a chi non si spaventa di fronte a esperienze di frontiera, di desertificazione (anche emotive) e di assenze che sono destinate a rimanere tali.

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Informazioni sul libro
Giorgio Vasta - Absolutely Nothing
Ed. Quodlibet/Humboldt 2016
285 pgg.
Attualmente in commercio 
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