IL GRANDE ROMANZO (POLITICO) AMERICANO?
Non è sempre facile recensire un libro e uno scrittore senza avere chiaro il contesto, detto con parole banali avendone letto solo un libro.
Diciamo questo: mi ero fatto l´idea di Lethem come scrittore massimalista, uno che partendo da Dick e dalla sci-fi è arrivato - come succede a molti americani - a voler scrivere The Great American Novel e quindi a negarsi poco, a voler stupire, a voler dominare registri, toni, e naturalmente tonnellate di nozioni e di informazione (perché la Great American Novel deve o dovrebbe anche essere romanzo enciclopedia o romanzo mondo).
Come in una profezia auto-avverantesi, questo "I giardini dei dissidenti" ha confermato la mia idea (che poi é un trucco, uno sporco trucco: forse è successiva alla lettura, la mia idea, un post-concetto, quasi).
Romanzo se vogliamo strano in quanto antipaticamente politico (ma basta approfondire la biografia di Lethem per capirne le urgenze), molto denso, molto pensato e spiegato.
Dal punto di vista dello stile, Lethem belloweggia e forse rotheggia e la cosa gli riesce straordinariamente bene, chissà che romanzo potrà scrivere accumulando ancora esperienza e sfoltendo qua e là da qualche eccesso di filosofia o di guarda-come-scrivo-bene.
Dal punto di vista dei contenuti, tre grandi "temi":
1) Una discesa quasi nichilista nel commentare le vicende della famiglia (estesa) Zimmer, dagli anni ´30 ai nostri tempi, una famiglia di antagonisti; pieni di contraddizioni, la capostipite Rose in continua dialettica con le proprie radici ebree, passando per la figlia Miriam e i suoi ardori piú erotici che antagonisti, il figlioccio Cicero - vero e proprio "prodotto" di Rose -, il pavido nipote Sergius.
La tesi, forse? Le ideologie sono state sconfitte, e quelle antagoniste si sono lasciate assorbire e forse sono diventate (vedi l´ultimo emblematico personaggio femminile) un pretesto per fare una sorta di Erasmus, una bighellonata in giro per gli USA
2) New York, co-protagonista del romanzo, specie con i Queens, con i quartieri piú popolari, e con la ben nota fascinazione del Baseball, qui protagonista di alcune felici pagine di ricostruzione storica
3) I personaggi, ancora una volta: tutti imperfetti, nessun eroe positivo, tutti piuttosto antipatici, e in questo senso efficaci nell´essere fin dall´apparizione protagonisti e portatori di predizione della propria sconfitta o del proprio chiudersi nel privato (che per Rose diventa il naturale invecchiamento, la perdita della memoria e di sé, per Cicero il chiudersi nell´insegnamento e nei suoi arzigogoli intellettuali e - in una scena del libro - latamente freudiani)
Ecco, il bello di certi romanzi è quello che ti condizionano anche la recensione, vedete che quanto sto scrivendo è sentito e allo stesso tempo descrittivo e verboso, forse troppo.
Questo è un po´il limite che ho trovato in questo libro, quello che lo rende da tre stelle e mezzo, massimo quattro e non il capolavoro che Lethem secondo me ha nelle proprie corde.
Insomma quando vuoi scrivere il Grande Romanzo Politico Americano allora davvero non ti neghi nulla e invece su alcune parti puoi anche sfumare, evitare di descrivere, evitare le nozioni e il name dropping e lasciare che il lettore ci arrivi da solo.
Ma in ogni modo grande scrittore che da ora in avanti seguirò (e recupererò) con attenzione.
Ps: Lethem comunque ha un presente da antagonista, quindi ogni tanto si dedica a cause di tipo-Occupy e potrebbe essere assolutamente poco d´accordo con la mia conclusione al punto 1.
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