STORIA DI UN ITALIANO
Di Strega abbiamo parlato anche troppo? Allora
diciamo brevemente che La vita in tempo di pace di Francesco Pecoraro almeno si avvicina alla
narrativa ed è (nettamente) superiore a Piccolo, Catozzella, Scurati.
È un libro con qualche squilibrio, non facile, ma convincente, e assolutamente (arche)tipico di un modo di narrare che va parecchio di moda ai giorni nostri, ovvero un mix di saggio, invettiva, narrazione non lineare, auto-fiction (in questo caso mascherata). Tra le influenze invettivanti qualcuno mette Céline, a me viene in mente Houellebecq per la descrizione di un uomo occidentale messo di fronte al proprio crollo morale e fisico, e gradualmente incapace di tutto (seppur combattivo), se non di rifugiarsi – passo dopo passo – in un nichilismo consapevole (troppo) della propria imperfezione corporale, con connotati (naturalmente) sessuali e scatologici.
È sicuramente un tipo di narrazione con cui dovremo confrontarci spesso, perché particolarmente adatta a restituire la confusione della modernità, l´esposizione continua a stimoli e dubbi, e al proprio passato, e alla paura del futuro.
Alla fine Pecoraro scrive una storia italiana, una sorta di Meglio Gioventù alla rovescia, una scoperta dell´uomo italiano da anziano, il bilancio di una vita passata a non essere abbastanza cattivo: c´è la psicologia, c´è secondo me un po´di Moravia, c´è il ´68, c´è l´arrivismo non portato alle estreme conseguenze, c´è l´agghiacciante capitolo (temo autobiografico) nel quale il protagonista si fa (quasi letteralmente) inchiappettare da un Manager “da manuale”, tutto cattiveria, efficienza e abiti impeccabili.
E la differenza viene non tanto dalla struttura – a volte imperfetta, prolissa, nel finale un po´banale nel compiacimento delle solite cose (sesso ed escrementi) – ma dalla lingua, sempre vitale, mistura di alto e basso, Céline, DeLillo, i Vanzina, il romanesco ma con la sordina, e poi dalla grandissima sincerità, dove dietro a Ivo Brandani, al suo tecnicismo, al suo sguardo da ingegnere (da qui credo molti paragoni con DeLillo stesso, scrittura analitica e tecnica) si vede Pecoraro, la sua voglia di capirsi e spiegarsi, di scrivere il romanzo di una vita. ´Sticazzi, gli è riuscito, lo Strega doveva vincerlo lui…e chissà cosa riserva il futuro...
È un libro con qualche squilibrio, non facile, ma convincente, e assolutamente (arche)tipico di un modo di narrare che va parecchio di moda ai giorni nostri, ovvero un mix di saggio, invettiva, narrazione non lineare, auto-fiction (in questo caso mascherata). Tra le influenze invettivanti qualcuno mette Céline, a me viene in mente Houellebecq per la descrizione di un uomo occidentale messo di fronte al proprio crollo morale e fisico, e gradualmente incapace di tutto (seppur combattivo), se non di rifugiarsi – passo dopo passo – in un nichilismo consapevole (troppo) della propria imperfezione corporale, con connotati (naturalmente) sessuali e scatologici.
È sicuramente un tipo di narrazione con cui dovremo confrontarci spesso, perché particolarmente adatta a restituire la confusione della modernità, l´esposizione continua a stimoli e dubbi, e al proprio passato, e alla paura del futuro.
Alla fine Pecoraro scrive una storia italiana, una sorta di Meglio Gioventù alla rovescia, una scoperta dell´uomo italiano da anziano, il bilancio di una vita passata a non essere abbastanza cattivo: c´è la psicologia, c´è secondo me un po´di Moravia, c´è il ´68, c´è l´arrivismo non portato alle estreme conseguenze, c´è l´agghiacciante capitolo (temo autobiografico) nel quale il protagonista si fa (quasi letteralmente) inchiappettare da un Manager “da manuale”, tutto cattiveria, efficienza e abiti impeccabili.
E la differenza viene non tanto dalla struttura – a volte imperfetta, prolissa, nel finale un po´banale nel compiacimento delle solite cose (sesso ed escrementi) – ma dalla lingua, sempre vitale, mistura di alto e basso, Céline, DeLillo, i Vanzina, il romanesco ma con la sordina, e poi dalla grandissima sincerità, dove dietro a Ivo Brandani, al suo tecnicismo, al suo sguardo da ingegnere (da qui credo molti paragoni con DeLillo stesso, scrittura analitica e tecnica) si vede Pecoraro, la sua voglia di capirsi e spiegarsi, di scrivere il romanzo di una vita. ´Sticazzi, gli è riuscito, lo Strega doveva vincerlo lui…e chissà cosa riserva il futuro...
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